05 ottobre, 2005

Un gigante alla porta


ISTANBUL - Proviamo a pensare, per un momento, alla Turchia dentro l'Europa. All'ultimo piano di un palazzo nella parte asiatica di Istanbul con vista sul Bosforo e le isole dei Principi l'immaginazione si scioglie, soprattutto se l'interlocutore è lo scrittore Ahmet Altan che qui ha catturato l'attenzione di migliaia di lettori.

Il suo ultimo libro di racconti, "Un luogo dentro di noi", (tradotto in cinque lingue ma non in italiano) ha venduto più di un milione di copie, stracciando tutti i record dell'editoria turca. Mentre Erdogan, l'uomo del destino, fuori raccoglie in piazza il suo trionfo, Altan e altri, strateghi, economisti, sociologi, gente comune, ci possono aiutare a capire che cosa significa avere un giorno -forse tra più di dieci anni- la Turchia nell'Unione.

"Mi congratulo con gli europei -dice Altan- per avere aperto alla Turchia: è una grande sfida culturale. Noi siamo barbari, selvaggi, primitivi, siamo una stella che esce dalla nebulosa della storia. Una stella che emana una luce vivida, accecante, per scaldare un'Europa fredda che oggi ha bisogno di una sorta di elettroshock per rivitalizzare una cultura straordinaria ma invecchiata, da museo. Sarà per tutti voi europei un secondo Rinascimento: uniremo la saggezza e la razionalità dell'Europa alle nostre calde emozioni..."

Certo, la vecchia Europa la portiamo nel cuore, nella mente e soprattutto sulle spalle: tra 10 anni i 70 milioni di turchi potranno diventare 80 e qui l'età media è di 26 anni contro i 46 dell'Unione.

Altan è suggestivo ma parla anche con franchezza: "Cari signori, noi siamo per niente europei, voi lo siete troppo e per questo avete bisogno dei turchi. No, per favore, non deve guardare fuori l'orizzonte magico di Istanbul, non si lasci ingannare da questa città magnifica, è una metropoli cosmopolita che è più grande ma anche più piccola di tutta la Turchia e di quello che significa essere turco."

Diamo uno sguardo alla carta geografica per capire qual è la "nebulosa della storia" di cui parla Altan. I turchi sono arrivati qui dalla Cina con una migrazione durata un millennio per insediarsi nel decimo secolo sull'altopiano anatolico, sono diventati musulmani trascinando nell'Islam lo sciamanesimo e nel 1453 hanno conquistato Costantinopoli fondando l'Impero ottomano.

Nei secoli si sono disseminati dalla Siberia, al Caucaso, all'Asia centrale: parlano turco circa 150 milioni di asiatici, balcanici e mediorientali e con la disgregazione dell'Urss sono diventati la componente dominante in Azerbaijan (gli azeri), Kazakhstan, Kirghizstan, Uzbekistan, Turkemenistan. I popoli turcofoni sono numerosi nello Xinjiang cinese (gli uiguri), in Afghanistan, in Iran, in Irak (i turcmeni), in Bulgaria, nell'ex Jugoslavia, in Russia.

Ma restiamo dentro i tremila chilometri di frontiere della Turchia che confina con Siria, Iran, Irak, Georgia, Bulgaria, Armenia e anche con l'Azerbaijan (un lembo di 18 chilometri): sotto il cielo dell'Unione un giorno potranno vivere 12-13 milioni di curdi, 7-8 milioni di turchi di origine balcanica, che sono bosniaci, macedoni, albanesi, pomaci, bulgari, tre milioni di circassi di origine caucasica ma anche 3 milioni di Laz, i discendenti dei greci pontiaci, oggi in gran parte mescolati ai turchi e di religione musulmana. Ma ci sono anche 20 mila ebrei, 60 mila greci, migliaia di armeni, oltre a 40-50 mila rom, in gran parte insediati in Tracia.

Sono queste frontiere che preoccupano gli europei. I popoli in cammino e i profughi arrivano a migliaia ogni anno. In Turchia ci sono un milione di iraniani, di cui la metà vive senza permesso di soggiorno. Ai confini sono stati fermati l'anno scorso 48 mila arabi, 19 mila pakistani, 18 mila afghani, 12 mila iraniani, 8 mila palestinesi. Ma queste cifre riguardano solo il 20 % di quelli che hanno attraversato i confini turchi. Per controllare le sue frontiere la Turchia impiega 80 mila uomini in divisa. Ci sono confini caldi, come quello con l'Irak o la Siria, 900 chilometri dove negli anni Ottanta per combattere la guerriglia curda del PKK furono costruiti bunker ogni 300 metri e interrate migliaia di mine.

Ma la Turchia è anche l'incrocio geopolitico delle vie del petrolio e del gas, dall'Irak, dall'Iran, dalla Russia, dall'Azerbaijan e dall'Asia centrale: migliaia di chilometri di condutture, per terra e per mare, che rappresentano uno degli asset strategici di questo paese che fanno gola all'Europa. Con la Turchia si dominano gli Stretti, si è proiettati in Asia e in Medio Oriente. "Senza la Turchia l'Europa non potrà mai diventare una superpotenza, la Turchia è fondamentale per dare all'Unione una dimensione globale", dice secco il generale Cevik Bir, ex vice capo di stato maggiore, che ha comandato diverse missioni militari internazionali. Le forze armate turche superano quelle di Francia e Gran Bretagna messe insieme: 520 mila uomini più 380 mila nella riserva, ben addestrati, induriti da anni di combattimenti contro la guerriglia curda, dotati di equipaggiamenti e di un'aviazione di primordine.

Gli economisti preferiscono ovviamente mettere l'accento su altri dati. Norman Stone, americano che insegna all'Università di Bilkent, sottolinea il "grande balzo" storico della Turchia: "Non stupisce che quest'anno nei primi sei mesi ci sia stata una crescita record del 12 per cento. Questo Paese ha fatto progressi straordinari: nel 1923 quando venne fondata la Repubblica di Ataturk il Pil era di 5,7 miliardi di dollari, oggi il fatturato di un gruppo come Koc è di 14 miliardi di dollari. In ottant'anni la ricchezza della Turchia è aumentata di 42 volte con un ritmo medio di crescita annua del 4,8%. Venti anni fa l'economia svedese era il triplo di quella turca ma oggi Ankara ha superato la Svezia e se continua così tra 15 anni il commercio turco supererà quello della Russia."

Ma lasciamo da parte le cifre e torniamo all'orizzonte dei minareti sul Bosforo. "Capisco" dice Altan, "che in Europa oggi preoccupano le differenze culturali e la religione. Ma noi turchi, che rappresentiamo mille culture diverse, siamo musulmani particolari: mangiamo durante il Ramadan, beviamo il vino a Bajram e siamo troppo pigri per pregare cinque volte al giorno. Amiamo il benessere e la felicità. Cose che mancano in gran parte del mondo musulmano: ieri a Bruxelles l'Europa e la Turchia hanno inviato un messaggio di speranza a questo mondo."



P. S.: Questo articolo firmato di Alberto Negri, pubblicato in 19/12/2004 sul Sole 24 Ore, si e' fatta con la collaborazione della giornalista Turca Umida Salih.

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